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Comunicati Stampa Città di Asti
Il consiglio comunale aperto discute di migranti: viaggiano di luogo in luogo ma l'ultimo è la loro terra
ven 04 dic, 2015

Il Consiglio comunale aperto convocato il 2 dicembre sui temi dell’immigrazione ha fornito dati, considerazioni e buoni motivi per prendere le distanze dai luoghi comuni e considerare con più attenzione l’integrazione che è già in atto. Ospiti il giornalista Domenico Quirico, insieme al Vice Prefetto Paolo Ponta, Angela Bosio del Consorzio di cooperative Coala e Giorgio Rosso della Caritas diocesana a rappresentare mons. Ravinale.

“Un consiglio aperto, nato dalla richiesta dei Consiglieri comunali”, ha spiegato Maria Ferlisi presidente del Consiglio introducendo i lavori, “per dare un’ informazione scrupolosa che eviti lacerazioni e prese di posizione, dando la parola ai progetti in corso per dare sollievo a un fenomeno che segna la storia contemporanea e tutti noi”.

Assemblea non al completo, con un pubblico attento, forte il richiamo mediatico in una serata nebbiosa fuori ma rischiarata da dati ed esperienze locali incoraggianti.

E’ stato l’intervento del Prefetto vicario Paolo Ponta a delineare il  quadro di una realtà che ha tessuto rapporti socialmente inclusivi. Innanzitutto i dati: Asti è storicamente una città accogliente, con  un  alto numero di immigrati regolari e un incremento da inizio secolo (censimenti  2001/2011), limitatosi di recente con la crisi economica e l’assunzione della cittadinanza italiana da parte di chi ha contratto matrimonio o risiede qui da oltre dieci anni. Dal marzo 2014 si è sovrapposto il fenomeno rilevante dei cittadini stranieri richiedenti asilo, sbarcati sulle coste o provenienti dalle rotte balcaniche. “Attualmente sono 542 di cui 213 nel solo Comune di Asti, la capienza complessiva è di 551 posti comprendendo anche 60 posti del campo della Croce rossa che opera da centro di smistamento”. Ad Asti si sommano i 162 in accoglienza ordinaria gestita dal consorzio Coala, dalla Caritas e da strutture presenti nel territorio comunale dell’ Albero della vita di San Damiano della coop Senape di Casale Monferrato e della coop. Leone rosso di Aosta e della Croce Rossa. La convenzione con la Prefetture assicura oltre il vitto e l’alloggio, l’istruzione l’orientamento al territorio e verso le Commissioni territoriali che valutano lo status delle singole posizioni. Specifici protocolli d’intesa, con Comune e Provincia di Asti e oltre 20 Comuni,  hanno permesso di attivare occasioni di integrazione con il territorio (volontariato  lavori di pubblica utilità). “Si è voluto evitare grandi concentrazioni”, ha chiarito il Vice Prefetto, “e garantire con il consenso di associazioni e cooperative un’accoglienza diffusa che è molto più pagante che non creare dei ghetti”. Asti  è inoltre sede di Sprar (Servizio di protezione richiedenti asilo e rifugiati), un servizio svolto d’intesa con Ministero dell’Interno e Anci.

Viaggio, fratello, fragilità, emergenza, rischio, incontro, accoglienza diffusa, sono le parole riecheggiate negli interventi di Angela Bosio di Coala e Giorgio Rosso della Caritas diocesana, termini chiave per interpretare un fenomeno, o meglio tante storie individuali, di immigrazione, che anche rivitalizzando piccole comunità di paese o favorendo l’ospitalità tra stranieri sta, a ben vedere, dicendoci più cose di quel che cronache indignate e frettolose tendono a raccontare.  

Naturalmente atteso e meditato l’intervento di Domenico Quirico che ha sgombrato il tavolo da due possibili equivoci.

”Non c’è correlazione tra l’emergere dell’Islam totalitario e l’immigrazione. La migrazione è un fenomeno estremamente più vasto e complesso che la fuga dai luoghi dove l’Islam si è insediato. Chi dal Mali sale verso il Sahel mauritano e il Mediterraneo va incontro alla vita o alla morte, trovando formazioni islamiste radicali che depredano, uccidono, perchè il migrante è considerato un traditore in quanto è mendicante in Europa presso “gli infedeli”.

Il migrante non è il rifugiato, è un fenomeno molto più grande. Non possiamo parlarne come se fosse una categoria che dipende dalla nostra accettazione o rifiuto. Per norma del diritto internazionale colui che nel luogo in cui vive per varie ragioni (la guerra, persecuzioni religiose, ideologiche, razziali, etniche, tribali) rischia la propria vita, ha diritto di ricevere accoglienza nelle nazioni che hanno sottoscritto gli accordi internazionali”.

Come un racconto, dice Quirico, “fatto da uno che ha viaggiato” e si è messo in sintonia con loro, “Non esiste un migrante che assomigli a un altro migrante, anche se viene dallo stesso villaggio. La storia di ognuno è unica e le motivazioni per cui è partito, i modi in cui si è svolto il viaggio sono sempre totalmente diversi. I migranti sono massa ma nei numeri con cui li designamo sono sempre individui”.

Un ragionamento il suo che si allontana dai luoghi comuni, e per questo serve a capire, offrendo una lettura che intrecciando storia e culture arriva dritta a noi.  

“Perchè si migra? Perché una banda di persone, in divisa o senza, dispone della vita e morte di altri, perché i campi si desertificano e le mandrie sono morte, perché… è un rito di passaggio. In quei luoghi se tu non fai “il viaggio” non diventi un uomo, non troverai moglie, non metterai su casa, sarai disprezzato. Bisogna andare e tornare, e la storia della migrazione è antica. Partivano, negli anni 60, andavano a Dakar, poi a Marsiglia, passavano da un luogo a un altro del mondo e lavoravano nelle (note) fabbriche francesi e diventavano tali. E così festeggiavano una nuova identità umana. I loro nipoti sono quelli che sono andati a mitragliare al Bataclan o a combattere in Siria, e nella siderale differenza tra nonni e nipoti ci sono tutte le domande che dobbiamo porci sulle migrazione”.

“Qui si è parlato di nazionalità. Tunisini ivoriani, maliani libici, siriani, pakistani. Mi sembra una modalità errata. L’elemento fondamentale della nuova immigrazione è il tempo che questi uomini e donne impiegano per passare dal luogo in cui sono partiti e il tempo in cui arrivano. Il viaggio di questa gente dura anni, anche quattro, con mezzi diversi, fermandosi mille volte perché non ha l’idea geografica dello spazio e ogni volta deve fermarsi, lavorare, guadagnare. Il tempo modifica l’uomo e  questo fa sì che non sia  un viaggio normale, in questo tempo c’è la modificazione dell’identità. Il loro essere uomini viene passato dall’abrasione tremenda di ciò che subiscono, che cancella la loro precedente identità. Si lasciano dietro i morti e quel che erano, e diventano  persone altre. E’ una domanda idiota chiedere “da dove vieni”, non viene da nessuna parte, perché quell’identità l’ha buttata via. Ci sono luoghi in Africa in cui non c’è anagrafe. Nel viaggio sono diventati altri uomini, altre identità umane su cui si può scrivere qualsiasi cosa. Questo può essere l’unico rischio di rapporto col jihadismo e l’Islam totalitario. Su queste anime bianche, su queste identità vuote ma piene delle sofferenze che hanno subito si può scrivere un nuovo codice umano. Non eritrei, non somali, non maliani, migranti: 220 milioni di migranti nel mondo. Questo è un popolo totalmente nuovo con una identità che è la migrazione.

E’ seguito il dibattito cui sono intervenuti i Consiglieri Quaglia, Cotto, Voglino, Coppo, Crivelli, Fassone, Caracciolo, Calvo, Imerito G. e il Sindaco.

La replica di Quirico ha ricordato i fallimenti delle strategie di “assimilazione” (francese) e di “rispetto etnico” (anglosassone) e l’urgenza di ridefinire il rapporto con la migrazione e il tipo d’integrazione auspicato. I Governi si permettono di distinguere tra migranti “utili” e “inutili”, “io avrò un’idea ottocentesca, non politica ma è proprio il migrante inutile, quello che non ci può dar nulla se non quello che è e che ci chiede, che ha il maggior diritto ad essere accolto, in quanto è "inutile". Questo è il mio rapporto con la migrazione e quello che dobbiamo imparare incontrandoli”.

Il Consiglio è terminato con l’indirizzo di definire un ordine del giorno nella conferenza dei capigruppo.

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