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Comunicati Stampa Città di Asti
Luoghi comuni. Anche un alloggetto di 60 mq può rigenerare la fiducia
mer 08 lug, 2015

Quando si dice “sociale”. Via Catalani (quasi) periferia ovest della città. Zona di palazzine con l’edilizia residenziale anni 70 tutt’intorno. Un piano rialzato, bell’ingresso, cucina servizi e due stanze, luminoso e ben servito. Vendesi, affittasi? No. Ospita… Sì.

Qui l’antica radice di “accogliere qualcuno in un luogo, per un periodo più o meno lungo” la dice tutta.

Fuori dall’emergenza di questi mesi “africani” qui le persone accolte sono italiani. Si parla di noi. Sono “quelli” incappati nel girone infernale di debiti e mutui, di affetti e lavori in scadenza, di solitudini che tolgono il sonno, ritrovatisi all’improvviso con “tutto in una borsa”, in un tour di ricoveri e soluzioni provvisorie, cui la parola dormitorio non è che un sollievo temporaneo. Sono le Politiche sociali della Città a non arrendersi e ad aver immaginato una proiezione di futuro a questi “invisibili”, e dopo una prima, civile accoglienza che ha fornito un tetto e un letto, regolamentato tra le molte richieste, hanno proposto, d’accordo con l’Ufficio Patrimonio, una coabitazione in alloggio, in vista di una più certa autonomia abitativa e lavorativa.

Gianni, Osvaldo e Natale, i loro nomi sono reali, andranno a vivere qui. Le loro storie son tutte diverse ma segnate da un medesimo approdo che ora li ha visti un po’ muratori e un po’ decoratori, per ripristinare al meglio i locali dove intanto la generosità di operatori e amici ha procurato l’essenziale di un arredo normale.

Che la città abbia molti alloggi sfitti è risaputo, la notizia è che il Comune faccia buon uso dei suoi, i tre pagheranno infatti un affitto e le spese di condominio, e che il progetto sia “buono” in sè. 

“Perché l’accoglienza non è tutto”, spiega l’Assessore Piero Vercelli, “Come uno sgabello a tre gambe è importante disporre di un “luogo”, in questo caso l’appartamento, ma la chiave sono “le reti” sociali che si mettono in moto e il self help delle persone coinvolte”.

Così un noto commerciante della zona ha fornito le tende, lavatrice e viveri grazie al Centro di ascolto Caritas della vicina parrocchia, persino le macerie non se ne sono andate via da sole. 

Quando si parla per “luoghi comuni”, che tutto o poco funzioni, che dire “sociale” o “pubblico” sia “arrampicarsi sui vetri” facciamoci incontrare da queste esperienze. Una stretta di mano, simpatia, buon umore prenderanno il sopravvento.  

Stessa vituosa sorte toccherà presto ad un altro alloggetto posto di fronte, che ospiterà donne. Lì i lavori saranno più onerosi, ma qualche cosa si è già mosso. Chi ci sente batta un colpo.

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